Notte Profonda

Splendida luna, gatta che lievi zampe posi sui sogni

Haiku: la struttura

haiku

Forse ce la faccio

Il mio primo tentativo di approccio alla poesia è stato attraverso la forma detta haiku. Il mio interesse per loro non era in realtà una novità. Per molto tempo mi avevano incuriosito. Non so perché gli haiku mi attraessero. Probabilmente era la loro brevità, la loro essenzialità, la loro scarna estetica a spingermi a cimentarmi con questo tipo di componimento. Detto in parole molto povere e in modo molto prosaico, non avendo mai scritto poesia, tre versi (e brevi) mi parevano alla mia portata. Sicuramente mi sembravano più abbordabili di un sonetto di 14 versi! Ovviamente è un ragionamento becero e non ne vado certo fiero.

Haiku questo sconosciuto

Dell’haiku molto si è scritto e molto si è detto e rispetto a molte pagine Web disponibili non posso offrire notizie storiche più accurate, per cui rimando ad altri siti (vedi anche semplicemente wikipedia) il lettore che fosse interessato a conoscere le radici di questa forma poetica, piuttosto antica, che risale almeno al XVII secolo. Mi limiterò ad alcuni cenni di struttura, a quelle nozioni che ho assimilato quando l’idea di provare a comporre un haiku ha preso corpo nella mia mente.

Essenzialmente gli haiku sono formati da tre versi. La lingua originaria in cui sono composti gli haiku ovviamente è il giapponese, un idioma con caratteristiche piuttosto diverse dall’italiano e questo si riflette nella metrica della sua poesia.

Diciassette sillabe in un Haiku

Gli haiku sono composti da 17 sillabe, o, volendo essere più precisi, 17 more . Una mora è un’unità di misura delle sillabe e in quelle lingue in cui esiste l’opposizione fonematica tra vocali brevi e vocali lunghe (come il latino, per fare un esempio a noi vicino, dove Rosa ha un significato diverso da Rosā) una sillaba breve (in cui per esempio via sia una sola vocale breve) vale una mora ed una sillaba lunga (per esempio una sillaba in cui la vocale sia lunga) vale due more. In italiano vocali e sillabe lunghe esistono, ma sono legate a realizzazioni particolari all’interno della parola o a varietà regionali, quindi la semplificazione secondo la quale un Haiku è composto da 17 sillabe verosimilmente ha senso.

Queste 17 sillabe/more sono ripartite secondo lo schema seguente:

  1. Primo verso: 5 sillabe
  2. Secondo verso: 7 sillabe
  3. Terzo verso: 5 sillabe

Un esempio di haiku, preso da un forum dedicato all’argomento, potrebbe essere

Vele spiegate

nel mare tempestoso,

urla la luna.

Da cui risulta apparente la scansione di sillabe:

Ve1le2 spie3ga4te5

Nel1 ma2re3 tem4pes5to6so7

Ur1la2 la3 lu4na5

Ma la storia è più complessa: la sinalefe

A complicare le cose, fino ad ora in verità molto lineari, va ricordato che il computo delle sillabe in italiano deve tener conto di alcuni meccanismi abbastanza complessi. Probabilmente il più noto è quello della sinalefe. Con questo termine si intende il fenomeno per il quale una sillaba alla fine di una parola che termina con vocale se seguita da una parola che comincia con una vocale si fonde ai fini del conteggio delle sillabe. Le due sillabe insomma valgono come una sola.

Un esempio di sinalefe potrebbe essere

Tra chiome infreddolite

Tra1 chio2me-in3fred4do5li6te7

Nella poesia italiana il fenomeno non è obbligatorio ed è piuttosto complesso, numerosi infatti sono i casi di dialefe, cioè casi in cui le due sillabe in questione valgono come effettivamente due sillabe, ma la convenzione vuole che nel caso degli haiku questo fenomeno sia operante.

Non è colpa mia.

Un esempio (mio) di componimento con sinalefe potrebbe essere il seguente:

Negli occhi tuoi

una goccia di spazio.

Mondi infiniti.

dove nel primo (negli-occhi) e nel terzo verso (mondi-infiniti) sono presenti proprio due fenomeni di questo tipo.

L’altra caratteristica formale macroscopica dell’haiku è l’assenza di titolo, ma questo non penso richieda riflessioni opportune.

Un discorso completamente a parte invece lo merita il contenuto di un haiku, ma questo probabilmente è meglio lasciarlo per un’altra volta.

Ad maiora

 

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