
Mi verso un altro bicchiere. Non sento
rumore ne’ suono se non il mio lento
respiro, fluire di un rivo remoto,
che affiora in qualche ricordo e che scorre,
bagnandomi i piedi e mi odo gridare,
ridendo, indicando qualcosa a mia madre,
che sorridendo mi prende per mano.
La stanza vicina è immersa nel buio,
che pare guardarmi come fossi un bambino,
tendendo le braccia, quasi a ghermirmi,
fondendo le sue fredde mani con gli abiti
sporchi che indosso.
Mi appoggio alla sedia, poi chiudo gli occhi
e m’immergo,
tuffandomi dentro lo spazio infinito
del mare abissale che riempe i crepacci
del flusso di lava della mia mente,
sprofondo lontano dall’aria
lontano dal sole e la luce del giorno.
Precipito verso il fondale ovattato,
cercando qualcosa, un tesoro nascosto,
un incendio che brucia nel petto.
Ma è buio sul fondo del mare,
neppure la luce del sole più caldo
del giorno più chiaro d’inizio d’estate
raggiunge la morbida sabbia che copre il fondale.
Neppure i colori del mondo discendono
a illuminare l’abisso di perpetua notte.