
Il suo passo distratto risuona sotto le volte della stazione
già vuote e disegna l’impronta del suono nel tempo,
attimi di solitudine che già sfuggono agli occhi,
ma scandiscono il suo camminare
come il battere dell’orologio nella sala in penombra.
Un bambino si aggrappa al mio ventre
e lo cinge piangendo mentre
mio padre mi prende in braccio e le sue parole
profumano di tabacco e il mondo è lontano,
metri di aria sotto i miei piedi a penzoloni.
Sento il suo cuore che batte
nel petto che è piccolo come una bambola
e mentre gli accarezzo i capelli
mi chiede di portarlo via, papà, che è una brutta giornata
lo stringo più forte e mi aggrappo al suo collo
e nascondo il mio viso.
E la mia vita è una foglia che cade
dal gelso in autunno, spazzata dal treno
che mi porta lontano, è il rintocco
della pendola sporca che occupava il ripiano
della vecchia credenza, tra odore di cera da legno
e tendaggi pesanti di lino e di polvere buia.