
E calchi il proscenio
di questo teatro già vuoto
fatto di garze e belletti e grani
di una novena che reciti
senza sapere se un dio
qualunque
ti ascolti, una benda consunta
sugli occhi per non vedere
il sangue e il sudore
di questa sartia che a malapena
trattiene le vele protese
al tramonto, la fune
sospesa tra piccole isole
che a stento galleggiano
tra i flutti profondi e il vino
colore del gorgo
e bianchi soffitti alle prime
luci dell’alba e lenzuola
stracciate come le nostre
speranze e i baci salati
di lacrime e pioggia
e gli abbracci che stretti
ci danno la forza
di vivere ancora.
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